Alabama nella guerra di secessione americana

Mappa dell'Alabama.

Il ruolo dell'Alabama nella guerra di secessione americana fu significativo e in parte determinante.

La Costituzione dell'Alabama del 1861 garantì la cittadinanza ai cittadini statunitensi al momento residenti, proibì i dazi sull'importazione di merci straniere[1], pose dei limiti all'introduzione di un esercito permanente e si oppose all'emancipazione a livello nazionale, pur sollecitando la protezione degli schiavi afroamericani tramite il procedimento giudiziario composto da un grand jury ed infine riservandosi il potere di regolamentare ulteriormente o vietare il commercio estero di schiavi. La convention per la secessione, tenutasi a Montgomery da gennaio a marzo 1861, esortò tutti gli Stati federati ove proseguiva la pratica dello schiavismo a ritirarsi dagli Stati Uniti d'America, anche se all'inizio solamente sette Stati del profondo Sud risposero all'appello, formando così gli Stati Confederati d'America, mentre la maggior parte di loro tentò di rimanere nell'Unione, proponendo un accordo di compromesso per rendere permanente la schiavitù in tutti gli Stati in cui ancora esisteva legalmente e quindi facendo approvare l'emendamento Corwin, controfirmato dall'uscente presidente James Buchanan ma che non fu mai ratificato.

Ancor prima della secessione ufficiale il governatore dell'Alabama, Andrew Barry Moore, nel gennaio del 1861 sfidò il governo federale occupando con la milizia statale le due fortezze militari posizionate sulla costa del Golfo (Fort Morgan e Fort Gaines) oltre all'arsenale presente a Mount Vernon, con l'intento di distribuirne le armi in Alabama[1]. La cattura dei due forti, avvenuta senza violenze, precedette di tre mesi il bombardamento di Fort Sumter del 12 aprile.

L'Alabama era politicamente divisa, con la secessione che ricevette il 61% dei voti alla convention; la minoranza unionista era forte soprattutto nel nord dell'Alabama[2]; entrambi gli eserciti, quello confederato e quello dell'Unione, videro cittadini dell'Alabama nelle loro file; anche i problemi irrisolti relativi alla schiavitù contribuirono alle divisioni interne, negando il diritto all'emancipazione seppur proteggendo legalmente gli schiavi in processi con giuria, come per i cittadini liberi bianchi: la tratta atlantica degli schiavi africani venne scoraggiata con le ordinanze del 1861[1].

L'Alabama fornì un sostanziale contributo di truppe e comandanti, materiale militare, rifornimenti, cibo, cavalli e muli. Sulla costa meridionale gli scali portuali rimasero aperti (con blocchi navali operati dall'Unione, ma protetti da fortificazioni, mine galleggianti e serie di ostacoli) per circa quattro anni[3] fino alla battaglia della baia di Mobile (agosto del 1864) e alla battaglia di Fort Blakely (aprile del 1865)[4], quando Mobile venne costretta a cedere l'ultimo grande porto confederato.

Le pratiche belliche rimasero oggetto di controversia, con le mine terrestri posizionate a Fort Blakely che esplodevano contro le truppe unioniste anche dopo la conclusione della battaglia[4]. Quasi immediatamente dopo la resa dei sudisti, si accusò che alcuni soldati secessionisti venissero fucilati per mano delle United States Colored Troops: ipotesi mai provate. Le prove disponibili indicherebbero che alcuni unionisti potrebbero aver aperto il fuoco contro confederati già arresisi, ma non si verificò mai una strage su larga scala[4].

  1. ^ a b c Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore OrdAL
  2. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore CHRON
  3. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Forts
  4. ^ a b c Mike Bunn, Historic Blakeley State Park, Battle of Fort Blakeley, in Encyclopedia of Alabama, May 2017. URL consultato il 7 novembre 2017.

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